ENZO TORTORA:
Un uomo onesto
Un
libro testimonianza quello di Francesca Scopelliti che segna il nuovo
inizio di una battaglia combattuta prima e dopo la perdita di Enzo
Tortora. Con questo libro, Lei fa dono a tutti noi del vissuto di un
uomo braccato, accusato, condannato in nome di una giustizia non
giusta, che lo ha privato della necessità primaria dell’uomo,
senza cui non c’è vita: la libertà.
Un
uomo retto, onesto, colto e di successo che ogni italiano riceveva
nella sua casa grazie al suo lavoro televisivo che svolgeva con una
professionalità senza pari. Eppure alla luce del niente, di alcune
dichiarazioni deliranti di gente inaffidabile e venduta a poteri
insani, è stato allontanato dai suoi affetti più cari che,
nonostante tutto, riusciva a confortare, a far sperare, a credere,
assieme a loro, che ancora fosse possibile un chiarimento che
dimostrasse a tutti la sua innocenza.
E’
il lato umano che emerge dalle lettere l’oggetto di questa mia
recensione,
perché senza di esso,
sarebbe limitativo parlarne.
Si
ricomincia, quindi, con l’intento di fare palesare agli occhi di
tutti il costo di una giustizia malata, del potere mediatico e delle
sue conseguenze devastanti,
a livello di opinione pubblica e decisioni dei giudici.
Accanto
a tutto questo c’è anche la volontà di far conoscere le
condizioni disumane di chi vive il carcere, giorni, ore e momenti
infiniti in uno spazio di pochi metri, che Enzo cerca di tenere
pulito, ordinato, perché si allontani “quell’aria di tana
abbandonata “che gli faceva paura.
Si,
tana quindi una gabbia per animali non per uomini, soprattutto se
innocenti. E così, dice Enzo, gira la ruota, lentissima mola di
mulino, che macina tedio, schifo, abbrutimento. E intanto chiedeva a
Francesca: Ma gli italiani lo sanno? Momenti di inevitabile
scoramento di un uomo che, per quanto si legga e si rilegga
nell’anima, non trova un motivo per subire un’accecata giustizia.
La
vita normale diventa un ricordo e chiede a Francesca un regalo
semplice, possibile a tutti tranne a lui: “cammina in mezzo al
verde, raccogli un filo d’erba e mettitelo tra le labbra: sono io”.
Quanto amore e quanto conforto riesce a dare alla persona che ama.
Soffre di più, se possibile, anche per questo: per avere trascinato
i suoi affetti in quel fango, una piovra infame, sempre più viscida,
con tentacoli sempre nuovi.
E’
una guerra la sua, vive in un lager frutto di una malata democrazia
datata 1983. A tenerlo in vita era il contatto con la sua donna, alla
quale raccontava le sue miserie perché sapeva di essere capito, alla
quale chiedeva di scriverne, di parlarne perché riteneva che il suo
compito fosse uno: far sapere per far vincere la verità che,
diceva…voglio vederla in piedi. Traspare, anzi è evidente l’amore
e la gratitudine per il sollievo che Francesca, con le sue risposte,
sa fargli vivere e promette riscatto al suo dolore quando dice:”
ognuna delle tue lacrime ti verrà ripagata, è un regalo che ho
giurato di farti”. E’ grazie a Lei se riesce ad evadere
mentalmente, attraverso le sue parole e i ricordi, anche per brevi
istanti, da quella realtà immotivata. Riesce a fare qualche amara
battuta come quando dice che molti definiscono quella gabbia in cui
vive “Carcere dei VIP”. In tante lettere si dichiara disgustato
all’idea che esistano giornalisti criminali della penna, analfabeti
della vita, irresponsabili.
Non
gli è stato risparmiato niente, ha vissuto il massimo dell’angoscia:
in carcere innocente, durante un terremoto. Tranne in rari momenti
non mollò mai, perché non voleva subire il disonore senza
combattere. Un uomo pulito, ricco di orgoglio e dignità, che
considerava ripugnanti gli arresti domiciliari perché erano una
libertà provvisoria, chiesta e mendicata. Cade e si rialza in una
crocifissione senza fine.
Sappiamo
tutti che la sentenza di primo grado e l’infamante accusa che gli
costarono 10 anni di carcere, 50 milioni di multa e, infine la vita,
fu rigettata in Appello e successivamente dalla Cassazione. Enzo
entrò ed uscì pulito da questa storia anche se nessuno potrà mai
ripagare lui e la sua famiglia del dolore, dell’ingiustizia subita,
della malattia che il suo corpo debilitato non riuscì a vincere.
Nessuno
però potrà mai toglierci l’esempio che ci ha dato, la signorilità
che non l’ha mai abbandonato nella sofferenza e che non ha mai
esibito per avere degli sconti.
Tutti
gli italiani onesti si riconoscono in lui e ci auguriamo che
raccontino ai loro figli chi era questo grande uomo che, nonostante
tutto, non smarrì mai sé stesso, la capacità d’amare e
l’orgoglio di essere italiano.
Grazie
Sig.ra Scopelliti per avermi consentito di parlare di emozioni che ha
sempre custodito gelosamente dentro di Lei e che riscattano, con la
forza che solo l’amore possiede.
Caterina
Guttadauro La Brasca
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